GUIDO ROSSA


GUIDO ROSSA
 



Prefazione
1979-1989: dieci anni separano la morte del sindacalista Guido Rossa per mano delle Brigate Rosse dalla nascita di Nazareno Giusti, cioè l’autore che ne racconta la storia in questo libro. Chissà, al momento dei fatti, probabilmente, i genitori di Nazareno non si erano ancora nemmeno conosciuti.
Può sembrare strano che un ragazzo di soli vent’anni decida di raccontare una delle tante pagine brutte della nostra storia più recente, e in effetti anch’io sono rimasto un po’ spiazzato quando l’amico Massimiliano, direttore della collana, mi ha chiesto di scrivere questa introduzione: mi si chiedeva di confrontarmi con un autore giovanissimo che, in un colpo solo, aveva la presunzione di sfidare i miei pregiudizi preconfezionati e di scardinare le categorizzazioni di comodo che tanto piacciono a certi mezzi di informazione. Per fortuna ho accettato la proposta, perché non c’è traccia, nelle prossime pagine, di quella superficialità e di quella inconsistenza di cui tante volte sono accusati i ragazzi di oggi, e bastano le prime vignette a fugare qualunque altro dubbio residuo sull’attenzione, la passione e l’onestà intellettuale messe da Giusti nella realizzazione del libro.
In un breve scambio che abbiamo avuto di recente, Nazareno mi ha spiegato di aver voluto disegnare questa storia anche (soprattutto?) per ricordare la figura di un personaggio dimenticato, che aveva un grande senso dello Stato. Un sentimento genuino che ha a che fare con la memoria e la giustizia, quindi: non ci sono calcoli o facili opportunismi dietro la volontà di raccontare la storia di Guido Rossa, ed anche questa è una scelta molto personale e piuttosto originale. Negli ultimi anni, infatti, il filone storico-cronachistico sembra essere assurto a genere a sé stante nel variegato panorama editoriale del fumetto italiano, ma le motivazioni alle base delle tante pubblicazioni viste finora non sempre sono state così spontanee, e a dire il vero nemmeno i risultati sono stati così buoni, tranne qualche eccezione.
Non è il caso de “La firma”, perché Giusti, qui al suo secondo libro, dimostra una sorprendente maturità nella scansione narrativa e nella costruzione delle tavole, realizzate con una semplicità ed una naturalezza che ne rafforzano di parecchio la forza espressiva. I disegni non sono né accademici né furbi, e non troverete inutili virtuosismi che rallentano il ritmo e neppure, vivaddio, quelle pose o quei particolari ricalcati dalle foto che ora sembrano andare tanto di moda. Il segno di Giusti punta alla comunicazione, alla sintesi, alla fluidità: pochi strumenti di lavoro (matite, pennarelli, inchiostro, acqua per diluirlo) e ancor meno fronzoli, dritto al cuore della narrazione. Perché è giusto ricordare, ce n’è sempre bisogno, che i fumetti sono soprattutto uno dei tanti modi per raccontare delle storie, piuttosto che essere esercizi narcisistici di “bella scrittura”.
Invito i lettori a porre una particolare attenzione sia alla libertà con la quale sono state disposte le vignette (nessuno schema fisso a bloccare le emozioni), sia al modo con cui sono stati disegnati i personaggi: figure allungate come ombre rarefatte, o ectoplasmi grigi, che si stagliano per tutta la dimensione verticale della pagina e attraversano gli ultimi 30 anni di storia italiana, quasi a simboleggiare un passato che non è ancora chiuso, o con il quale non sono stati fatti tutti i conti.

La lettura de “La firma” è un viaggio in quel passato recente immobilizzato per sempre dalle immagini di repertorio dei telegiornali in bianco e nero, ma soprattutto è un viaggio nelle emozioni vivide dei protagonisti, che squarciano con forza il grigiore che pervade i fatti e i personaggi di quegli anni.
(Alessio Bilotta)













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